IN MISSIONE NEL MONDO
MESE MISSIONARIO STRAORDINARIO OTTOBRE 2019
BATTEZZATI E INVIATI: LA CHIESA DI CRISTO
1 OTTOBRE 2019
Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino
Zc 8,20-23 Sal 87,1b-7 Lc 9,51-56
Il passo evangelico sul viaggio di Gesù verso Gerusalemme getta una luce nuova su come possano realizzarsi le parole dei profeti sulla conversione dei pagani al Signore, attraverso l’immagine del grande pellegrinaggio verso Gerusalemme alla fine dei tempi. Il disegno di salvezza universale, per Israele come per i pagani, passa per Gerusalemme come luogo nel quale Gesù è stato «innalzato» (Gv 12,32). È l’attrazione profonda, irresistibile e divina del mistero della croce vissuto, testimoniato e trasfigurato da Gesù a suscitare, promuovere e accompa- gnare il movimento della conversione dei pagani verso Gerusalemme, luogo scelto dal Signore per il mistero di salvezza. Gesù coinvolge nella sua missione prima i Dodici, poi la Chiesa da lui sorta per chiamata specifica. I discepoli non possono che seguire Gesù, naturalmente facendo molta fatica a capire, a far propri parole e fatti: è un cammino di conversione, che inizia con una chiamata e prosegue per tutta la vita. Mentre manda messaggeri a preparagli l’ingresso e l’ospitalità presso un villaggio di samaritani (cfr. Lc 9,52), Gesù è perfettamente consapevole dell’ostilità che divide giudei e samaritani (cfr. Gv 4,9.20), ma non per questo si rassegna; anche i discepoli, inoltre, devono imparare a gestire in modo diverso un’ostilità radicata. Alla risposta negativa degli abitanti samaritani del villaggio (cfr. Lc 9,53), la reazione dei discepoli Giacomo e Giovanni, che Gesù stesso non senza un pizzico di ironia aveva soprannominato «figli del tuono» (Mc 3,17), è stizzita e violenta (cfr. Lc 9,54). I due fratelli agiscono spinti dall’impulso di un’impropria convinzione di essere detentori, in qualche modo, di una verità religiosa superiore. Questa catechesi cristiana ricorda la natura della missione di Gesù, non certamente mandato per esercitare una vendetta divina. La missione della Chiesa è conformazione alla persona e al mistero di Cristo: una conversione che impegna l’intera vita, lasciando al Signore il compito di aprire le porte della missione e smuovere il cuore delle persone. Tempi e modalità della conversione dei pagani sono opera del Signore; alla Chiesa il compito di convertirsi allo Spirito e alla persona del Signore Gesù.
2 OTTOBRE 2019
Memoria dei Santi Angeli Custodi
Ne 2,1-8 Sal 137,1-6 Mt 18,1-5.10
L’episodio
evangelico, con le parole di Gesù riguardo alla conversione per diventare come
bambini, illumina la profondità dell’opera di con- versione necessaria
all’interno della Chiesa stessa, per poter svolgere la missione a cui si è
chiamati. La missione può essere inquinata fin dall’in- terno della comunità
dei discepoli di Gesù dalle tentazioni dell’orgoglio, dell’essere i migliori e
del potere, sia pure ammantato di linguaggio reli- gioso (cfr. Mt 18,1). Nel
tratto finale dello stesso Vangelo, in cui si deli- neano emblematicamente le
controindicazioni per poter seguire Gesù che sale a Gerusalemme, l’ultima
tentazione, quella più dura da tenere sotto controllo, dopo l’esercizio
disordinato della sessualità (cfr. Mt 19,1-12). e l’attaccamento al denaro
(cfr. Mt 19,16-26), è quella del potere, che sembra essere irriducibile anche
nei discepoli di Gesù (cfr. Mt 20,20-28). All’inquinamento fatale di qualunque
missione, Gesù contrappone un gesto significativo e un impegno vitale: farsi
piccoli come i bambini (cfr. Mt 18,2-4). Chiunque avverte di essere chiamato a
una missione nella Chiesa, come al di fuori dei suoi confini, ha bisogno di una
conversione molto impegnativa: diventare come un bambino. Bambini si è stati e
non lo si sarà mai più in senso puramente umano. Neemia deve avere una
consapevolezza specifica e accurata sia del mondo in cui si muove e da cui
parte, sia del mondo verso il quale sente di doversi muovere. Così ogni
discepolo di Gesù, che percepisce di essere chiamato a una missione, deve avere
fede in Dio, fidarsi e abbandonarsi solo a Lui. Il discepolo missio- nario deve
avere la stessa fiducia smisurata che i bambini hanno nei loro genitori, sicuri
del loro amore e della loro protezione, e quindi fiduciosi
nel presente, che per loro è già inizio del futuro. Il diventare bambino offre al discepolo missionario la forma del suo rapporto con Gesù, suo Maestro e Signore. In Lui scopre la sua vocazio- ne filiale, di bambino del Padre, e la sua libera obbedienza, frutto di una appartenenza nella fede e nella missione. Figlio nel Figlio, ogni discepolo è missionario perché inviato ad annunciare, sorretto e accompagnato dagli angeli, messaggeri divini che lo mantengono aperto alla contemplazione, fondamento della sua missione, e alle sfide del mondo, che rappresentano il luogo della sua conversione e della sua testimonianza. Come l’angelo custode a cui ciascuno di noi è affidato, il discepolo bambino non smette di contemplare in Gesù il volto del Padre per scoprire sempre e in chiunque il volto del fratello, l’esistenza della sorella da amare e salvare.
3 OTTOBRE 2019
Feria
Ne 8,1-4a.5-6.7b-12 Sal 19,8-11 Lc 10,1-12
La
chiamata da parte di Gesù di settanta o di settantadue discepoli, sei a
rappresentanza di ciascuna delle dodici tribù dell’Israele di Dio, avvie- ne
dopo quella dei Dodici (cfr. Lc 9,1-6). Entrambe le missioni, volute da Gesù,
sono sussidiarie e preparatorie al suo personale passaggio. La preparazione
alla missione consiste nell’appartenenza alla comunità dei discepoli di Gesù
nel senso più esteso del termine, anche tra i non ebrei; è la persona stessa di
Gesù che assurge a Parola di Dio, analogamente al ruolo assunto dalla Legge di
Mosè (cfr. Ne 8,1) nella comunità dei reduci all’epoca di Esdra e di Neemia.
Nella comunità originaria dei suoi disce- poli, Gesù stesso inizia a spiegare
le Scritture come un Vangelo (cfr. Lc 24,44-48), poiché è essenziale la
funzione di una lettura delle Scritture, spiegata e capita, nella comunità dei
discepoli di Gesù (cfr. Lc 24,25-35). Nell’affidare ai discepoli la missione di
annunciare “il Regno di Dio”, Gesù precisa anche le modalità della missione
stessa: attrezzature e prassi (cfr. Lc 10,1-11). Vi si riconoscono le
caratteristiche circostanziali, in parte consone alla cultura
giudaico-palestinese del tempo, come la valo- rizzazione del “protocollo
dell’ospitalità” (cfr. Lc 10,4-7; cfr. Gen 18,1-8), ma anche l’urgenza e
l’assoluta priorità della missione rispetto alla cultura dell’epoca (cfr. Lc
10,4). È una prassi missionaria capillare, non di massa (cfr. Lc 10,2), esposta
a pericoli (cfr. Lc 10,3). È un annuncio di pace (cfr. Lc 10,5; 24,36),
confortato da gesti a favore sia degli evangelizzatori che degli evangelizzati
(cfr. Lc 10,8-9a) e che ha per oggetto la vicinanza del “Regno di Dio” (Lc
10,9b): l’arrivo del Signore Gesù e il suo passaggio (cfr. Lc 10,1). Fu così
allora nel mondo palestinese, ed è sempre così in ogni parte del mondo e in
ogni tempo. Anche le istruzioni di Gesù sul comportamento dei discepoli nel
caso del rifiuto dell’ospitalità, così come dell’annuncio del “Regno di Dio”,
sono improntate alla priorità della missione (cfr. Lc 10,10-11), secondo una
prassi che anche Paolo e Barnaba adotteranno di fronte all’opposizione da parte
della comunità giudaica (cfr. At 13,44-51). Gesù intende rassicurare i suoi
missionari sul fatto che il rifiuto nei loro confronti non è più una cosa che
li riguarda, ma è totalmente affidata al Signore (cfr. Lc 10,12). Addirittura,
il rifiuto e la persecuzione di Gesù e per Gesù possono diventare opportunità
di configurazione dei discepoli missionari alla Pasqua del loro Maestro, dove
il messaggio annunciato, il Regno proclamato, la sua persona divino-umana e il
suo destino di Messia e Salvatore diventano un’unica preoccupazione: fare la
volontà del Padre per la salvezza del mondo. Ai discepoli missionari è chiesto
di ardere della stessa passione e dell’amore per il mondo, affinché tutti siano
salvi, andando a cercare gli uomini e le donne di ogni generazione, di ogni
luogo e città perché a nessuno manchi chi annunci il Vangelo della salvezza.
4 OTTOBRE 2019
Memoria di San Francesco d’Assisi
Bar 1,15-22
Sal 79,1-5.8.9
Lc 10,13-16
Il
discorso con cui Gesù accompagna l’invio in missione dei discepoli, è
completato da un severo monito nei confronti dei villaggi di Corazin e di
Cafarnao in Galilea (cfr. Lc 10,13-15). I villaggi palestinesi menzionati
avevano visto i miracoli con i quali Gesù aveva accompagnato il suo an- nuncio
del Regno di Dio (cfr. Mt 11,21); a Cafarnao si era manifestata la prima
refrattarietà all’annuncio di Gesù (cfr. Lc 4,23), ma lì Gesù aveva mostrato
anche la potenza del “Regno di Dio” (cfr. Lc 4,31-41) e lì si era vista la fede
di un centurione dell’esercito romano, pagano ma sim- patizzante del giudaismo
(cfr. Lc 7,1-10); da Betsàida proveniva Filippo, uno dei Dodici (cfr. Gv 1,44;
12,21). Il severo monito di Gesù ai villaggi palestinesi, che erano stati da
lui stesso beneficati e nei quali aveva anche incontrato sorprendenti risposte
di fede, non è mai stato una condanna definitiva, irreversibile. Alla fine del
suo discorso ai discepoli mandati in missione, Gesù ribadisce l’importanza
della missione stessa dell’evange- lizzazione: evangelizzare, ed essere
evangelizzati, comporta delle responsabilità. La porta del pentimento e della
conversione è sempre stata aperta, anche attraverso le strade misteriose della
provvidenza e della misericordia divine. Gesù si identifica con coloro che ha
inviato e parla esplicitamente del rischio, in questi casi, di rifiutare Dio
stesso, qualunque sia il motivo o la fede religiosa che possa portare a
respingere l’evangelizzazione operata dai discepoli di Gesù (cfr. Lc 10,16).
«Peccare contro il Signore» è fallire nel rapporto con Lui: una tragedia
strutturale, che si consuma concretamente, consapevolmente ma anche spensieratamente,
nel «disobbedire» quotidiano al Signore, nel «non ascoltarne la voce», la quale
si fa udire anche nei suoi «decreti». La storia dell’Israele biblico che torna
a essere l’Israele di Dio è anche la storia della Chiesa che, attraverso la
fede in Cristo, entra a far parte dell’Israele di Dio. Come il duro ammonimento
di Gesù alle città ga- lilaiche non è una sentenza definitiva di abbandono,
così anche l’esilio dell’Israele biblico non segna la conclusione della storia.
Il cammino di conversione, che dovrebbe essere caratterizzato dal
riconoscimento di un peccato personale e strutturale, è certamente sempre un
dono del Signore, ma rischia di essere dissipato in un’autoassoluzione
sbrigativa, oppure in una ripresa prevalentemente formale e fondamentalista di
gestualità, di riti, di formule e di frasi fatte, che non avranno mai la forza
di una missione evangelizzatrice.
5 OTTOBRE 2019
Feria
Bar 4,5-12.27-29
Sal 69,33-37
Lc 10,17-24
Nel
Vangelo al quale è dedicata la nostra meditazione di oggi, i settanta (o
settantadue) discepoli ritornano dalla missione con gioia, per rende- re conto
al loro maestro Gesù del proprio successo pastorale: «anche i demòni si
sottomettono a noi nel tuo nome» (Lc 10,17). E Gesù stesso è partecipe della
gioia dei suoi discepoli: «Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc
10,18). Come discepoli di Cristo, noi abbiamo ricevuto il potere di camminare
sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico e nulla ci
potrà danneggiare (cfr. Lc 10,19). Gesù ci avverte così che la missione sarà
ardua e difficile, ma col suo Spirito e la sua grazia saremo sempre vittoriosi
sulle forze del male nel mondo. «Non rallegratevi però perché i demòni si
sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti
nei cieli» (Lc 10,20). È legittimo che il discepolo del Cristo sia fiero e
felice dei successi delle proprie missioni di evangelizzazione, ma il motivo
principale della sua gioia dovrebbe essere quello escatologico. Dobbiamo
entrare nella gioia della salvezza, la gioia della speranza: «servo buono e
fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21.23). È la gioia del
servo inutile (cfr. Lc17,10) che ha fatto quanto doveva fare. Ciò che importa
davvero per i discepoli è che i loro nomi siano «scritti nei cieli» (Lc
10,20). Poi, improvvisamente, nel mezzo
della sua conversazione con i discepoli missionari, Gesù si rivolge a un altro
interlocutore, suo Padre. Gesù rende
grazie al Padre per la sua mise- ricordiosa volontà: i grandi misteri sono
stati rivelati «ai piccoli» piuttosto che «ai dotti e ai sapienti», ai quali
restano invisibili. Nel contesto storico di Gesù, i discepoli inviati in
missione sono “bam- bini” non solo perché sono alla loro prima esperienza
missionaria, ma anche perché probabilmente non avevano ricevuto un’educazione
formale al mondo di Dio pari a quella dei dotti rabbini, degli scribi e degli
altri leader dell’ebraismo del tempo.
Gesù riflette poi ad alta voce, per così dire, sulla natura della relazione tra lui e il Padre. Gesù rivela la completa conoscenza reciproca tra Padre e Figlio e l’assoluta apertura dell’uno all’altro: questo è fonte di gioia e di comu- nione, la causa della fecondità e della missione.
È in virtù di questa relazione che Gesù ha il potere di invitare gli altri al rapporto con Dio, ad entrare in questa sua comunione divina. In questa intimità, sappiamo chi è il Figlio come conosciuto e amato dal Padre, e chi è il Padre come conosciuto e amato dal Figlio. I settanta, chiamati ad alleviare la sofferenza e l’oppressione nel nome di Gesù, incontrano il senso della loro missione nel Padre e nel Figlio e nella loro comunione di amore. La Parola di Dio oggi ci chiama non solo a osservare i diversi aspetti della missione, ma anche a scoprire attivamente ciò che queste realtà ci rivelano di Dio.
La profonda comunione dei discepoli missionari con Gesù, nella sua amorevole unità divina con il Padre, dà gioia, passione e zelo per l’impegno missionario. Molto più che per il loro successo, i discepoli missionari si rallegrano per l’amore, per la comunione con il loro Maestro e Signore, per la vocazione a essere figli e figlie di Dio il cui nome è scritto nei cieli.
6 OTTOBRE 2019
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Ab 1,2-3; 2,2-4
Sal 95,1-2.6-9
2Tm 1,6-8.13-14
Lc 17,5-10
TUTTI A MESSA